Quando fu chiaro, nel 2005, che la guerra in Iraq stava alimentando una spirale di aumento nel prezzo del petrolio, qualcuno profetizzò con orrore: “verrà un giorno in cui il petrolio raggiungerà i 100 dollari al barile”. (Allora il prezzo era sui 37-40 dollari al barile, e già sembrava una cifra enorme).
Nel gennaio del 2008 il limite dei 100 dollari è stato sfondato, e da allora il prezzo ha continuato a salire in maniera impressionante: la scorsa settimana c’è stato addirittura un aumento di dieci dollari al barile in un solo giorno, e ormai stiamo viaggiando tranquillamente verso i 150 dollari di media mondiale, che si prevede verranno raggiunti nel corso dell’estate.
E c’è chi già prevede che entro 18 mesi il prezzo del barile sarà arrivato a 200 dollari.
In occasione del recente G8 in Giappone si è parlato di varie misure per cercare di contenere questa spirale terrificante, ma nessuno sembra in grado di spiegare con precisione a che cosa sia dovuta.
C’è chi punta il dito sulla crescente domanda dei paesi in forte espansione industriale, ...
... come la Cina e l’India, che di recente ha superato il Giappone come secondo consumatore di petrolio in assoluto al mondo.
Altri parlano di fattori psicologici, come ad esempio la recente minaccia da parte di Israele di attaccare l’Iran, che avrebbe fatto crollare la borsa americana e schizzare in alto il prezzo del barile.
C’è chi sostiene che il rialzo sia dovuto alle aspettative troppo ottimistiche dei paesi non-OPEC, che sono liberi di fissare i prezzi a piacimento, e non sono obbligati a rispettare il tetto imposto all’interno dell’OPEC stessa.
Altri invece accusano i paesi membri dell’OPEC di limitare intenzionalmente la loro produzione, proprio perché obbligati ad un tetto massimo sul prezzo di vendita.
Altri ancora rimandano la spirale di mercato alla sempre più imminente, presunta “fine delle risorse“ - la cosiddetta teoria del Peak Oil, che sostiene che il ritmo massimo di estrazione mondiale sia già stato superato - ma nessuna di queste spiegazioni, né in assoluto ne combinata con le altre, sembra sufficiente a spiegare il letterale raddoppio dei prezzi, avvenuto in un solo anno, della più venduta materia prima al mondo.
Quando un bene di consumo è così diffuso, oltre che indispensabile, si presume infatti che le fluttuazioni del suo prezzo debbano essere molto più lente, e comunque sempre giustificabili in qualche modo in maniera razionale.
Ma è evidente che questo punto, nel mondo “impazzito” – non certo per caso - del post 11 settembre, di razionale sia rimasto ben poco, e questo è purtroppo un pessimo presagio per chi ama pensare, oltre che ai propri interessi a breve termine, anche al futuro dei propri figli.
Nel gennaio del 2008 il limite dei 100 dollari è stato sfondato, e da allora il prezzo ha continuato a salire in maniera impressionante: la scorsa settimana c’è stato addirittura un aumento di dieci dollari al barile in un solo giorno, e ormai stiamo viaggiando tranquillamente verso i 150 dollari di media mondiale, che si prevede verranno raggiunti nel corso dell’estate.
E c’è chi già prevede che entro 18 mesi il prezzo del barile sarà arrivato a 200 dollari.
In occasione del recente G8 in Giappone si è parlato di varie misure per cercare di contenere questa spirale terrificante, ma nessuno sembra in grado di spiegare con precisione a che cosa sia dovuta.
C’è chi punta il dito sulla crescente domanda dei paesi in forte espansione industriale, ...
... come la Cina e l’India, che di recente ha superato il Giappone come secondo consumatore di petrolio in assoluto al mondo.
Altri parlano di fattori psicologici, come ad esempio la recente minaccia da parte di Israele di attaccare l’Iran, che avrebbe fatto crollare la borsa americana e schizzare in alto il prezzo del barile.
C’è chi sostiene che il rialzo sia dovuto alle aspettative troppo ottimistiche dei paesi non-OPEC, che sono liberi di fissare i prezzi a piacimento, e non sono obbligati a rispettare il tetto imposto all’interno dell’OPEC stessa.
Altri invece accusano i paesi membri dell’OPEC di limitare intenzionalmente la loro produzione, proprio perché obbligati ad un tetto massimo sul prezzo di vendita.
Altri ancora rimandano la spirale di mercato alla sempre più imminente, presunta “fine delle risorse“ - la cosiddetta teoria del Peak Oil, che sostiene che il ritmo massimo di estrazione mondiale sia già stato superato - ma nessuna di queste spiegazioni, né in assoluto ne combinata con le altre, sembra sufficiente a spiegare il letterale raddoppio dei prezzi, avvenuto in un solo anno, della più venduta materia prima al mondo.
Quando un bene di consumo è così diffuso, oltre che indispensabile, si presume infatti che le fluttuazioni del suo prezzo debbano essere molto più lente, e comunque sempre giustificabili in qualche modo in maniera razionale.
Ma è evidente che questo punto, nel mondo “impazzito” – non certo per caso - del post 11 settembre, di razionale sia rimasto ben poco, e questo è purtroppo un pessimo presagio per chi ama pensare, oltre che ai propri interessi a breve termine, anche al futuro dei propri figli.
3 commenti:
Dare e avere.
Questo è il concetto su cui è stato basato il nostro sistema economico e sociale, in un continuo alternarsi di offerta e domanda garantendo così l’equilibrio tra risorse disponibili e il loro sfruttamento sulla base di leggi economiche secondo le quali ogni eccesso dell’uno o dell’altro provoca un discostamento da tale punto di stabilità, che nel lungo periodo verrà riassorbito e stabilizzato. Tuttavia, le entità economiche sono riuscite a truccare il meccanismo grazie all’introduzione di nuove tecnologie di informazione, grazie alle quali una determinata offerta di un bene può essere moltiplicata in maniera fittizia, in maniera tale da soddisfare la domanda oltre il suo limite di equilibrio. Si pensi ad un centralino che può soddisfare non più di 20 chiamate, ma sottoscrive 200 o 2000 contratti, basandosi sul concetto che i clienti non contatteranno mai contemporaneamente quel centralino.
Un chiaro esempio di ciò che parliamo è il sistema bancario, che emette prestiti 100 o 1000 volte i suoi depositi in virtù del fatto che i depositanti non chiederanno mai in massa la restituzione dei propri crediti. Grazie a questo meccanismo è possibile manomettere l’intero sistema di domanda e offerta, imporre un determinato livello dei prezzi e stabilire il livello di produzione di un qualsiasi bene, e così alimentare le speculazioni. Che sia chiaro, le leggi economiche sono state da tempo manomesse e non sono più valide dato che non esiste alcun limite alle speculazioni, con un grave impazzo sul nostro sistema sociale.
L’epoca in cui viviamo è definitivamente segnata dalla "piaga economica" della speculazione che ormai ha invaso tutti i settori vitali per la sussistenza umana. Il rincaro dei prezzi dei prodotti alimentari ha alterato le produzioni, i sistemi di coltivazione e la qualità di ciò che mangiamo, riducendo ai limiti della sostenibilità i regimi di alimentazione e causando le cosiddette guerre della fame. La manipolazione è arrivata al punto tale da compromettere la sopravvivenza di interi popoli e di vere e proprie etnie, che muoiono pian piano con la scomparsa della biodiversità vegetale e alimentare. Una catastrofe che non ha sconvolto più di tanto i Governi occidentali, considerando che l’aumento dei prezzi dei beni alimentari viene sostenuto con la riduzione del consumo del vestiario o di beni voluttuari, oppure con il consumo di beni a basso costo provenienti dalla Cina. Al contrario sembrano essere molto più preoccupati dell’aumento del prezzo del petrolio che mette in crisi quello stile di vita di benessere, ormai dato per scontato. In altre parole, noi siamo molto più spaventati dall’idea di dover rinunciare ad un bene di lusso, rispetto alla paura di morire di fame, che incombe invece sui Paesi poveri.
Ma cosa sta provocando realmente l’aumento del prezzo del petrolio?
Ormai un barile di greggio si attesta approssimativamente intorno ai 130$ il barile, e si teme che entro la prossima settimana si toccheranno i 140$. Di tutta risposta, il livello dei consumi di prodotti petroliferi si è ridotto di solo 1-2%, mentre gli approvvigionamenti continuano a livello sostenuto, senza un evidente eccesso di domanda, né una riduzione della produzione: non vi è stato, dunque, nessun cambiamento tra domanda e offerta di petrolio, eppure il prezzo è aumentato del 100 o 150% da un anno all’altro. Cade anche la vecchia convinzione secondo cui il prezzo del greggio venga stabilito dal cartello dell’OPEC - che al momento controlla solo il 40% della produzione mondiale - o solo dalle società petrolifere, che sicuramente profittano dalla situazione, ma non ne sono i principali artefici. Non possiamo neanche credere agli analisti finanziari che ci dicono che i prezzi sono stati drogati da "una scarsità di derivati", tale che il petrolio grezzo è prodotto in quantità sufficienti, ma le raffinerie non riescono a fornire la benzina necessaria. Inoltre, vi è chi afferma che i prezzi rimangono alti perché sostenuti dalla domanda della Cina - dove le importazioni di prodotti petroliferi aumenta ancora a dismisura - o dallo scarso gettito di produttori non appartenenti all'Opec.
In realtà sono i fondi di investimento, le borse e gli affaristi che creano questo immenso arteficio. Si stima infatti che depurando i mercati dalla speculazione e considerando il solo confronto di domanda e offerta, il petrolio avrebbe una quotazione di non oltre i 50-60$ il barile, che rispecchierebbe a pieno il livello di approvvigionamento dei mercati. E così i Governi e le autorità restano ferme, dichiarano dati ufficiali di inflazione al 2,5% e una disoccupazione del 6% quando in realtà il rincaro è del 10% e il disavanzo del mercato del lavoro è del 13%, mentre i fondi speculativi impongono una tassa planetaria che ha un gettito di 5 miliardi di dollari al giorno. Un sacrificio mondiale che inevitabilmente si ripercuote sulle classi più deboli, come i popoli ai limiti della povertà.
Imponendo la strategia del terrore energetico possono imporre nuove norme per la regolamentazione dei flussi immigratori, maggiori controlli con tecnologie biometriche, magari installare migliaia di centrali nucleari, e far fruttare quei vecchi brevetti destinati all’estinzione. Nuovi business, nuovi guadagni, ma soprattutto una nuova legge economica di domanda-offerta.
Caro Mirco, v'è da riflettere: come facciamo? E soprattutto: cosa? E se iniziassimo da una nuova definizione di cosa é essenziale e cosa non lo è?
Trovo scandaloso il fatto che la conoscenza non "costi" quasi più nulla (e non la si cerca), mentre tutto il resto aumenta (e se ne sente la mancanza quando non si può comprare).
Qual'è lo stile di vita che tanto difendiamo? Quello in cui le Famiglie non sanno più cosa fare? Quello nel quale i ragazzi ormai vivono con 100 vocaboli e con questi pensano di descrivere la vita che hanno intorno? Cosa difendiamo? Il fortino é stato preso: non c'è più niente da difendere se non una finta realtà alla Matrix.
A meno di un nuovo inizio...
Leo
Concordo pienamente sulle tue conclusioni, tra l'altro supportate da un'analisi puntuale ed attenta. Io, personalmente, non sono disposto a negoziare i bisogni dei più deboli (anziani, bambini, disabili et cetera) con i capricci di un'economia. Dice Veltroni: "Senza ricchezza non ci può essere giustizia sociale", l'affermazione è viziata di fondo poiché, tradotto in soldoni, significa che se non siamo ricchi dobbiamo ed esempio tagliare i servizi, ad esempio gli insegnanti di sostegno, i pannoloni agli anziani. Non sono e non possono essere diritti negoziabili ma, per questa politica fatta di speculazioni, di business, di cordate, di affaristi, i servizi ai più deboli sono i primi da recidere poiché ultimi a risiedere nei pensieri. Sarebbe troppo, ma forse faccio della retorica, pensare che se si è meno ricchi si debbano per prime tagliare le entrate degli alti funzionari? Dei politici? Dei governanti? No, se non c'è ricchezza non c'è sicurezza per i più deboli, ergo, non c'è giustizia sociale e lo va ad affermare il capo del maggior partito che si rifà a nuovo ma che perpetra ed avanza gli stessi metodi di sempre. La giustizia sociale ci deve essere sempre, indipendentemente dalla ricchezza o dal PIL ed è eretico solo il sostenerlo. Diciamo subito e chiaro, come inizio, che noi non siamo disposti a barattare i diritti dei più deboli con i barili di petrolio ed il loro andamento. Ti sembra utopia? A me pare invece che a questo modo la politica inizierà a ri-appropriarsi del suo aspetto più nobile. Ri-iniziamo da qui e da una chiara visione delle priorità da perseguire e, ribaltando il concetto veltroniano, diciamo che non vi può essere ricchezza, nessuna ricchezza, (soprattutto spirituale) senza giustizia sociale.
Ciao,
Mirco
P.s. sempre puntuali e precisi i tuoi interventi, grazie e, a buon rendere..
Bellissima analisi, ben spiegata e ben sintetizzata.
C'e' un altro elemento sulla crisi del petrolio che hai tralasciato.
Il petrolio e' prodotto in Arabia, ma viene spesso raffinato nei paesi consumatori come gli USA e l'Italia (Saras, ERG, ecc.).
I raffinatori di petrolio stanno andando malissimo in questo periodo perche' non sanno se riusciranno a trasferire sul consumatore finale gli alti costi del greggio.
Pertantno c'e' una grossa "strozzatura" del petrolio disponibile e le riserve di petrolio raffinato sono ai minimi non solo per i consumi della Cina, la speculazione degli hedge fund e tutte le altre cause che hai citato nel tuo post, ma anche per il problema che i raffinatori di petrolio stanno per andare in fallimento.
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